domenica 24 novembre 2013

Sull'estetica dell'impossibile


Nel 1939 durante la costruzione della Casa sulla cascata Frank Lloyd Wright per convincere l'impresario costruttore a smontare i casseri, dovette posizionarsi proprio sotto la terrazza più grande mentre gli operai toglievano i casseri e i puntelli. (fonte - Wikipedia)

Nel corso dell'ultimo secolo le tecniche costruttive e l'utilizzo di calcoli strutturali ormai così dettagliati da non dover mettere in dubbio la realizzazione degli stessi ha portato ad una sorta di perdita di quel brivido di adrenalina nel costruire l'impossibile.

Filip Dujardin
Interessante l'opera del fotografo Filip Dujardin: una raccolta di collage fotografici progettati con l’unico obiettivo di creare edifici impossibili, costruzioni realistiche frutto dell’immaginazione del fotografo e nate dalla combinazione di elementi esistenti. (fonte - il Post).

Lasciando per un attimo da parte queste opere di collage e di astrazione fotografica, l'uomo, ha sempre cercato di sfidare l'impossibile. L'architetto/ingegnere strutturale cerca di costruire dove non si è ancora riusciti a farlo, in modi nei quali ancora nessuno è riuscito a farlo. E' un po' come l'evoluzione della scienza, in tutti i campi si cerca sempre di andare oltre, di stupire, di crea l'irrealizzabile. Ma tutto ciò che è impossibile rimane tale fin quando non si riesce a scoprire come farlo diventare possibile.

Forse ora come ora ci si sorprende meno per certe opere perché si possono considerare fattibili, oppure semplicemente la nostra immaginazione di società di porta a pensare che tutto sia possibile, che l'uomo sia ormai arrivato al punto di pensare che alcune cose sono realizzabili o comunque lo saranno a breve. 
 
Ladovskij, Progetto per un ristorante montano, 1922
Un movimento che dal mio punto di visto fu molto importante per lo sviluppo dell'architettura moderna e che fu un po' il precursore di questa idea di architetture impossibili è il cosiddetto costruttivismo russo. (fonte - I maestri del dopoguerra). Siamo nel 1922 quando Ladovskij progetta il suo ristorante sospeso nel vuoto, un 'opera che non mostrerebbe oggi alcun problema di realizzazione.

sabato 16 novembre 2013

Pollock e gli irascibili


La mostra allestita dal comune di Milano all'interno del ciclo "autunno americano" devo ammettere che è stata un po' una delusione. Non tanto per le opere presenti, che possono dare spunti per riflessioni importanti, quanto per il rapporto qualità/prezzo. Undici euro di prezzo intero/nove e cinquanta il ridotto per una sola opera principale di Pollock mi sembra veramente eccessivo, anche per un appassionato del genere.

Ma veniamo alla mostra: il titolo è "Pollock e gli irascibili", ovviamente non ci si aspetta solo Pollock, ma qualcosa in più non avrebbe sfigurato. Di opere di Pollock in realtà ce ne sono 8/9, non ricordo il numero preciso, il problema è che la maggior parte sono schizzi o comunque tele molto piccole, si presume spunti preparatori per opere più imponenti.

Pollock è un pittore che va apprezzato nel grande formato. A mio avviso, un quadretto di 15cmx15cm purtroppo non rende, ricordiamoci che lui era solito dipingere le proprie tele per terra, grandi opere, con il colore che colava direttamente dal barattolo, geniale quanto crea una nuova visione dell'arte, quando distrugge tutto ciò che era rappresentativo creando una nuova visione della pittura.

Jackson Pollock, numero 27, 1950
  
Franz Kline, Mahoning
Degna di nota è anche l'opera di Franz Kline, con il suo utilizzo del bianco e nero, soprattutto nell'opera Mahoning.

"A volte la gente pensa che io prenda una tela bianca e ci dipinga sopra un segno nero, non è vero. Dipingo il bianco così come dipingo il nero, e il bianco è altrettanto importante" (Franz Kline) 
  
Da citare anche Helen Frankenthaler, William De Kooning, Barnett Newman, Lee Krasner e, ovviamente, Mark Rothko.

"un quadro non riguarda un'esperienza: è un'esperienza" (Mark Rothko)

giovedì 7 novembre 2013

Omaggio a Gabriele Basilico

"Ma basta la presenza di un uomo a ridare all'architettura il valore di sfondo, a dare al vuoto il senso drammatico di un'assenza,mentre l'assenza dell'uomo toglie al vuoto la dimensione d'angoscia e fa del vuoto quello che veramente è. Questo perché il vuoto riempie se stesso e diventa soggetto in sé. Non penso di fotografare il vuoto nel senso di una mancanza di presenza, ma fotografo il vuoto come protagonista di se stesso, con tutto il suo lirismo, con tutta la sua forza, con tutta la sua umanizzante capacità di comunicazione, perché il vuoto nell'architettura è parte integrante, persino strutturale nel suo essere."

Interessante lettura all'interno del pensiero e dell'evoluzione del fotografo Gabriele Basilico, uno dei più importanti rappresentanti della realtà architettonica e paesaggistica dell'ultimo secolo.

Le Touquet, 1985
Milano, 1978-80



Parigi, 1997